lunedì 23 maggio 2011

IV sezione, capitolo 20; pagine 117-118.

'Mattia aveva ragione: i giorni, uno dietro l'altro, erano scivolati sulla pelle come solvente, portandosi via ognuno un sottilissimo strato di pigmento dal tatuaggio di Alice e dai ricordi di tutti e due. I contorni, così come le circostanze, erano ancora lì, neri e ben delineati, ma i colori si erano mescolati l'uno con l'altro, fino a sbiadire in una tonalità smorta e uniforme, in una naturale assenza di significato.
Gli anni del liceo erano stati una ferita aperta, che a Mattia ed Alice era sembrata così profonda da non potersi mai rimarginare. C'erano passati attraverso in apnea, lui rifiutando il mondo e lei sentendosi rifiutata dal mondo, e si erano accorti che non faceva poi tanta differenza. Si erano costruiti un'amicizia difettosa e asimmetrica, fatta di lunghe assenze e di molto silenzio, uno spazio vuoto e pulito in cui entrambi potevano tornare a respirare, quando le pareti della scuola si facevano troppo vicine per ignorare il senso di soffocamento.
Poi, con il tempo [...] i lembi della pelle si erano avvicinati, con movimenti impercettibili ma continui. A ogni nuova abrasione la crosta cadeva, ma poi ostinatamente tornava a formarsi, più scura e spessa. Infine un nuovo strato di pelle, liscio ed elastico, era andato a sostituire quello mancante. Da rossa, era diventata bianca  e aveva finito per confondersi con tutte le altre'.
'La solitudine dei numeri primi', Paolo Giordano.

Ce ne sarebbero state di nuove.
Rilucenti nel loro rosso rubino.
Sempre di più.

Nessun commento:

Posta un commento